L’avventura è fatta di fiuto ed esperienza
22 febbraio 2003
Domenica 16 febbraio altri due sciatori alpinisti sono morti in Valle Aurina allungando la lista dei sepolti da valanga. Ancora una volta i giornali, sotto il titolo “valanga killer” o “montagna assassina”, hanno riferito che si trattava di sciatori esperti e ancora una volta la gente si è legittimamente domandata: non si può fare qualcosa per scongiurare queste morti inutili? Non si può, per esempio, vietare la montagna in determinate condizioni di pericolo, oppure addirittura (come qualcuno ha suggerito dopo la disgrazia del 26 gennaio in Val Gerola) incriminare coloro che provocano le valanghe con il proprio scellerato passaggio?
La questione soffre di alcuni difetti di informazione. Innanzi tutto la “valanga assassina” e la “valanga killer” non esistono, ma sono ovviamente gli sciatori a commettere degli errori. Nel caso dello sci-alpinismo la responsabilità è totale: sia in salita che in discesa lo sciatore disegna l’itinerario, lontano dagli impianti e dalle piste. Solo l’esperienza e la prudenza possono determinare l’esito dell’escursione. Ma non si tratta per nulla di un’attività “estrema” come spesso lasciano intendere le cronache: lo sci-alpinismo è praticato da una fascia di sportivi coriacei e compassati, raramente di giovane età. Mediamente il rischio di un’escursione con le pelli di foca non è superiore a quello di un viaggio in autostrada. Il fatto è che la montagna innevata è un mondo instabile, mutevole per natura, difficilmente assoggettabile alle leggi della meteorologia e della fisica. Spesso il fiuto e l’esperienza valgono assai più delle previsioni, un itinerario sicuro la sera può diventare pericoloso dopo una notte di vento in quota, talvolta anche i più esperti vengono traditi dall’imponderabilità del manto nevoso. Eppure sono proprio l’imponderabilità, l’incertezza, il sapore dell’avventura a spingere gli sciatori alpinisti fuori dalle piste battute e lontano dalle nevi artificiali, alla ricerca di quell’incognita ormai completamente assente nella dimensione pianificata della nostra vita. Se si introducessero cartelli e controlli non esisterebbe più lo sci-alpinismo.
Ecco allora la domanda: nel tentativo di abbassare il rischio, è lecito regolamentare gli sport d’avventura? Una limitazione della libertà individuale diminuirebbe gli incidenti? Le guide alpine della Lombardia rispondono che «la sicurezza non si ottiene con le restrizioni ma con l’esatto opposto: la responsabilizzazione». L’illusione di programmare e controllare ogni azione non sortirebbe sicurezza, ma una progressiva incapacità di adattarsi all’ambiente, far fronte alle difficoltà, risolvere situazioni complesse. Può essere letta come una metafora del nostro mondo: l’eccesso di sicurezza genera ansia.