Pubblicazione

Prefazione

Da alpinista, penso che la differenza la faccia sempre il pendio. Che lo si affronti a piedi, con le pelli di foca o sui pedali di una bicicletta, salire un pendio senza l’aiuto di una fune o di un motore implica sempre un ribaltamento delle leggi della gravità. Dal punto di vista della fisica è un atto ribelle, perché ogni corpo pesante sarebbe fatto per stare giù, ma per chi prova e vivere e non si accontenta di sopravvivere, la sfida del salire regala intensi sentimenti pieni di significati: innanzitutto è un confronto, appunto con la gravità, ma anche con il conformismo e l’acquiescenza di chi sta a terra; senza dubbio è l’ascesa verso qualcosa, che sia altura, colle o vetta, che vuol dire staccarsi dalla quotidianità e andare in alto, verso un cielo; infine sono panorami e ampi spazi, perché a ogni metro guadagnato corrisponde un orizzonte un po’ più largo, cioè uno sguardo più aperto sul mondo e su di noi. Anche in noi.
Per questo credo che i ciclisti “scalatori” – come ci spiega in queste pagine uno di loro, l’appassionatissimo Niccolò Bulanti, offrendoci stimolanti riflessioni sul pedalare in salita e alcune proposte alpino-ciclistiche nella sua Valtellina per chi, oltre a riflettere, intenda anche mettersi in gioco –, dicevo i ciclisti “scalatori” non hanno molto da spartire con quelli di pianura, anche se il mezzo è più o meno lo stesso e il sudore indubbiamente li accomuna. Ma nelle gambe di chi sale ci sono crampi e orizzonti molto diversi, e soprattutto nella testa; per un “uomo in salita”, come si definisce l’autore, la gioia e la sofferenza si misurano in dislivelli, non in chilometri, e i tornanti sono la cifra del suo sforzo. A pedalare mille metri in piano ci può riuscire anche un bambino, mentre un chilometro in altezza è già la meta di una giornata, dunque di un viaggio, ed è la sovrapposizione di ambienti e visioni meravigliosamente contrastanti, dai castagni del punto di partenza alle rocce, le nevi e i piccoli fiori del luogo in cui si arriva, dove tira quasi sempre il vento e si prova l’emozione della cima, e dove al ciclista non resta che scendere, come all’alpinista, con la differenza che il primo veleggia mentre l’altro incespica e suda ancora.
Si potrebbe obiettare che il ciclo-alpinismo si svolge su strade, quindi su percorsi addomesticati, mentre quell’altro alpinismo avviene in natura, a volte estrema. Ma siamo sinceri: che si segua una pista battuta o un sentiero inesplorato, la vera esplorazione non avviene sempre dentro di noi? Quindi a ognuno la sua ascesa, con il mezzo che preferisce. Buone salite!