Il lungo e intenso carteggio tra Giovanni Bobba e Casimiro Thérisod s’inquadra in un periodo ben preciso e particolarmente fecondo per il rapporto guida-cliente. Non è sempre stato così perché le prime guide erano professionisti troppo acerbi per stringere duraturi legami con chi accompagnavano sulle cime, e successivamente si sono infrante molte consuetudini a causa del tecnicismo, del consumismo e di un lento ma inesorabile processo di spersonalizzazione. Bobba e Thérisod intessono legami alpinistici e personali in quello che può essere considerato il “periodo d’oro” delle guide alpine; è finita l’epoca dei pionieri ma resta molto da esplorare in montagna sul piano geografico, tecnico e anche umano.
Il mestiere della guida alpina può essere fatto risalire al Seicento, quando i marroniers, sorta di rudi accompagnatori valligiani, scortavano i viandanti nell’attraversamento dei colli. Ma la moderna concezione di guida è collegata alla nascita e allo sviluppo dell’alpinismo. Alla vigilia della Rivoluzione Francese, il naturalista ginevrino Horace-Bénédict de Saussure promette una lauta ricompensa a chi trovi la via di salita al Monte Bianco e l’8 agosto 1786 il medico Michel-Gabriel Paccard e il cercatore di cristalli Jacques Balmat si aggiudicano il premio raggiungendo la vetta più alta delle Alpi dal versante di Chamonix. Il vero artefice dell’impresa è Paccard, uomo di scienza e medicina, spirito libero e investigatore, ma quasi tutti attribuiscono il merito dell’ascensione al cacciatore Balmat, che la filosofia e l’iconografia romantica dipingono come il rude e buon uomo delle vette, destinato ad accompagnare per mestiere i messieurs sulle montagne. Nasce così la figura retorica della guida di alta montagna, e in effetti l’anno seguente de Saussure sale sul Bianco con lo stesso Balmat, che almeno letterariamente diventa la prima guida della storia. La fortuna del Monte Bianco cresce rapidamente tra Settecento e Ottocento, borghesi in gran numero vogliono ripetere la famosa avventura che appassiona i salotti e le corti d’Europa, dunque nel 1821, a Chamonix, prende forma la prima Compagnia delle Guide, che sancisce le tariffe e le regole della nuova professione.
Come scrive la guida svizzera Luigi Spiro «i curiosi venuti dalla città erano mal preparati ad affrontare i rischi e le difficoltà inerenti a qualsiasi esplorazione. Poiché non potevano esplorare le Alpi da soli, naturalmente si misero alla ricerca dei migliori abitanti; è così che essi furono indotti ad assoldare nei villaggi alpestri gli uomini decisi e capaci di condurli alla meta». La crescita delle guide alpine segue la storia degli alpinisti più intraprendenti e delle montagne più famose. Sull’altro versante del Monte Bianco, nel 1850, nasce la Compagnia delle Guide di Courmayeur, mentre nel Vallese (in particolare a St Niklaus con i grandi Knubel e Lochmatter, a Saas Fee con Matthias Zurbriggen) e nell’Oberland Bernese (soprattutto a Grindelwald con la dinastia degli Almer) crescono e si affinano le due più prestigiose scuole di guide svizzere. La sfida alpinistica di metà Ottocento si concentra ai piedi del Cervino, lo “scoglio nobile e inaccessibile” corteggiato da Jean-Antoine Carrel di Valtournenche, cacciatore e guida, e da Edward Whymper, ambizioso disegnatore londinese. Anni e anni di collaborazioni e sotterfugi si consumano il 14 luglio del 1865, quando Whymper, tradito da Carrel, scala a sorpresa il Cervino-Matterhorn dal versante svizzero con la celebre guida di Chamonix, Michel Croz, e Jean-Antoine si trova battuto a pochi passi dalla vetta. Ma Croz precipita con tre clienti durante la discesa e Carrel si riscatta dopo tre giorni salendo dal versante italiano. Tragedia e gloria delle guide alpine. In breve tempo la cima più temuta viene attrezzata con corde e scale, le guide cominciano a cavalcarla con i clienti e l’impossibile diventa un lavoro.
Si giunge così alla fine dell’Ottocento, un periodo straordinariamente favorevole alla collaborazione tra cittadini e guide. Le grandi montagne sono state scalate, ma restano da salire un’infinità di pareti, creste, speroni, e rimangono da esplorare piccole porzioni di massicci “minori”, per esempio quelle cime bellissime che si allungano a ovest della Grivola e del Gran Paradiso e collegano i monti di Cogne con quelli di Rhêmes e della Valgrisenche, valicando la Grande Sassière e sconfinando in terra francese.
Gli intellettuali di pianura stringono rapporti di stima e affetto con i montanari che li accompagnano e si formano cordate eccezionali – Mummery e Burgener, Fontaine e Ravanel, Ryan e Lochmatter, Young e Knubel, Norman Neruda e Klucker, Mayer e Dibona, anche Bobba e Thérisod, come vedremo – che fanno incetta di prime ascensioni sulle Alpi occidentali. Spesso la relazione tra guida e cliente si spinge oltre il puro aspetto professionale e mercenario, sfiorando l’amicizia. La guida incarna nel modo più compiuto l’ideale romantico che aveva avvicinato i borghesi alla montagna:
«In molti punti – osserva Guido Rey – le guide mi ricordano quegli antichi Indiani nomadi d’America. Come quelli, esse paiono dotate talora di un senso supplementare, in noi da lungo tempo scomparso, di facoltà e di istinti di razze primitive e selvagge: il silenzio del passo, l’agilità del corpo che vince le leggi dell’equilibrio; l’acutezza della vista che scorge ai limiti estremi del vasto orizzonte montagne che a noi sembrano nubi, e le riconosce una per una…»
In questo preciso punto della storia s’inseriscono la collaborazione alpinistica e la relazione umana tra il magistrato torinese Giovanni Bobba e la guida di Rhêmes-Notre-Dame Casimiro Thérisod, quindi parliamo di un periodo chiave dell’alpinismo occidentale e non solo di un fortunato incontro tra un’intraprendente guida di montagna e un colto cliente di città. Forse umanamente non sarebbe cambiato gran che, ma dal punto di vista professionale cambia moltissimo perché in quel preciso momento i cittadini hanno assoluto bisogno dei montanari e viceversa, dal punto di vista pratico, realizzativo, psicologico e culturale.
Oltre al dettaglio narrativo e al numero delle lettere (134, compresi i biglietti e le cartoline postali), c’è un altro elemento che rende singolare lo scambio epistolare tra i due, e segnatamente gli scritti di Thérisod. L’eccezionalità sta nel fatto che fin dagli esordi dell’esplorazione alpina sembra esistere solo la scrittura di chi guarda le montagne dal basso. Come si sa i valligiani scrivono poco, male e quasi sempre contro voglia, lo fanno generalmente se non possono farne a meno, salvo tre notevoli eccezioni che confermano la regola: Tita Piaz nelle Dolomiti, Christian Klucker in Engadina e Matthias Zurbriggen sul Monte Rosa. Sono tutte guide di montagna e le loro memorie risultano interessanti perché trattano anche faccende di valle e di paese, tuttavia nelle descrizioni delle ascensioni non si discostano più di tanto dalle autobiografie di matrice urbana. Risentono delle stesse influenze culturali, ricalcano il medesimo stile. A lato delle autobiografie ci sono appunto i carteggi tra il cliente cittadino-intellettuale e la guida montanara: Theodor Curtius di Duisburg con lo stesso Klucker, Julius Kugy di Gorizia e Anton Oitzinger carinziano di Valbruna, Giovanni Bobba di Torino e Casimiro Thérisod di Rhêmes, ai piedi della Granta Parei.
Quest’ultimo scambio è uno dei più fecondi, perché Bobba e Thérisod si scrivono per quasi trentatré anni, dal dicembre del 1888 al marzo del 1921, come due compagni di vecchia data. La prima lettera di Thérisod reca gli auguri di Natale. Sfortunatamente conosciamo solo le sue lettere, scritture fitte e rare perché di mano montanara, mentre ci mancano quelle di Bobba che sono andate perdute, tanto che si potrebbe improvvisare un gioco che immagini per ogni missiva del valdostano la relativa risposta del torinese, e viceversa. Si potrebbe provare a riempire i vuoti delle corrispondenze utilizzando, come i detective, gli indizi, le allusioni e gli stati d’animo della parte nota, ma il lavoro dello storico non consente invenzioni e dunque dovremo accontentarci della metà del puzzle conservata alla Biblioteca Nazionale del Club Alpino, oltre all’affettuoso necrologio con cui Bobba saluta il suo accompagnatore nella primavera del 1921, dopo la morte prematura della guida fidata, senza sapere che gli sarebbe sopravvissuta a lungo.
Casimiro Thérisod era nato a Rhêmes-Notre-Dame nel 1858. Era uno di quei montanari ottocenteschi dal senso innato della montagna, che univano intelligenza e signorilità sotto l’apparenza fiera e austera. «Fu uno dei figli più schietti e singolari della Valle d’Aosta – scrive Bobba –. Nato lontano dall’influenza di centri alpinistici, si era appassionato per l’alta montagna sin dai primi anni, obbedendo ad un istinto di razza… Rivelò dal primo inizio una attitudine alla roccia ed al ghiaccio quale difficilmente venne superata da altri: il giudizio non è mio ma di più d’uno dei migliori alpinisti e montanari italiani ed esteri. Gli giovava la pratica fatta da solo sulle impervie rupi e i difficili ghiacciai della sua valle». A sessant’anni Thérisod vantava un centinaio di prime ascensioni nelle Alpi Graie, di cui trentotto nel gruppo del Gran Paradiso. Aveva anche partecipato alla prima traversata del Colle Gnifetti sul Monte Rosa. Non era famoso come le guide più blasonate, ma era conosciuto e molto rispettato. Quando aveva conosciuto Giovanni Bobba in giovane età non aveva esitato ad assecondare le sue curiosità geografiche. Si era formata una bella coppia tra l’uomo di giustizia, futuro infaticabile compilatore di guide alpinistiche, e l’uomo di montagna, appassionato esploratore di cime e versanti. In fondo avevano lo stesso obiettivo.
Giovanni Bobba, nato a Torino nel 1866, frequentava Rhêmes-Notre-Dame già con i genitori. Rhêmes era il posto delle vacanze e il giovane, influenzato dai genitori, amava i silenzi e la riservatezza del luogo ai margini del Gran Paradiso, ma era giovane e curioso. Bobba era uno di quei villeggianti che subiscono l’attrazione delle creste e dei ghiacciai. Così era stato inevitabile unirsi a Thérisod, la migliore guida della valle, ed era stato altrettanto naturale allargare progressivamente gli obiettivi alpinistici dalla valle di Rhêmes a quelle vicine, a cominciare dalla Valgrisenche, senza limiti d’orizzonte fisico e culturale.
«Non è possibile – osserva Luigi Cibrario – seguirlo nelle sue peregrinazioni su per i monti, per quanto l’elenco riescirebbe senza dubbio cospicuo ed interessante, poiché senza quelle campagne che ogni anno segnavano nuove vittorie ed accrescevano la sua cultura, non avrebbe potuto dare così largo e prezioso contributo alla letteratura alpina; ond’iè che non sapremmo se tornino a maggiore titolo d’onore per lui le imprese che furono la causa o le opere che ne furono l’effetto». In effetti è difficile, nei ricercatori colti e prolifici come Bobba, distinguere tra la priorità di esplorare per mappare e scrivere, e, all’inverso, la necessità di redigere per dare compiutezza al proprio alpinismo. In altre parole, si fatica a distinguere tra la passione alpinistica e la vocazione divulgativa. Comunque tutti gli alpinisti conoscevano e apprezzavano le sue opere. Il reverendo Coolidge considerava il terzo volume della Guida delle Alpi Occidentali «un monumento di ingegnosità ed esattezza».
Il magistrato e il montanaro erano dunque due uomini interessanti e diversi. Condividevano la montagna, naturalmente, e un certo senso dell’onore; quello stile un po’ sabaudo e un po’ montanaro – mi riferisco alla montagna di una volta –, che consiste nel fare le cose per bene anche se nessuno ti vede. Si legarono in cordata per molti anni, aprendo itinerari non facili sulla Grivola e il Becco della Tribolazione, senza inseguire la gloria ma piuttosto la soddisfazione, che per Bobba era scienza viva, di studio e compilazione, per Thérisod invece era esplorazione istintuale, quasi necessaria. L’attività sul campo estivo era completata dalle attese e dai progetti invernali, in mezzo a urgenze più prosaiche che si ricavano dalle lettere. Come un compendio all’azione alpinistica, il carteggio dei mesi morti e degli appuntamenti rinviati contiene i dettagli personali di due vite lontane e vicine allo stesso tempo, sospese tra pianura e altura. Il carteggio contiene molti indizi e alcune certezze. Vi si leggono gli stati d’animo dei corrispondenti, le gioie e le preoccupazioni, qualche inevitabile disgrazia e le aspettative di scalata nell’attesa del prossimo incontro.
Un esempio per tutti: il 29 settembre 1895, a estate da poco conclusa, Thérisod relaziona del tempo meteorologico e racconta di due operai morti di recente in un crepaccio del Goletta (chiedendosi e chiedendo al torinese se vadano recuperati i cadaveri, a prezzo di gravi rischi), poi si scusa con Bobba perché teme di averlo offeso (?) e si conferma «devoto servitore». La confidenza cresce prudentemente con il tempo e l’età, allargandosi ad argomenti niente affatto alpinistici come il consulto per un cugino che ha firmato una cambiale in bianco (27 novembre 1901), il mal di denti (2 febbraio 1905) e l’elezione del sindaco di Rhêmes contro il parere del curato (14 marzo 1909). In altre date il valdostano confida al torinese la morte del figlio durante il parto, gli relaziona della polmonite curata con le sanguisughe, annuncia la scomparsa dell’amata moglie e azzarda la richiesta di consigli legali su questioni di parcelle e testamenti familiari, infine sfoga la sofferenza e l’inquietudine dopo il grave incidente dell’estate del 1917 sulla Grande Rousse, proprio la montagna che frequenta e ama di più, che lo blocca in casa per mesi a causa delle fratture e gli offende il viso rischiando di compromettere il lavoro di guida.
La grafia di Thérisod è minutissima e di difficile lettura. Se ne ricava tutto l’impegno occorsogli per la scrittura, forse superiore alle grandi ascensioni, ma anche la voglia e la necessità di corrispondere senza risparmio con il cliente, compagno e mentore di città, per confidarsi, consigliarsi e garantirsi il lavoro per la prossima estate. Il carteggio tra i due si mantiene in bilico tra almeno tre ordini di pensieri. Il primo, com’è logico, attiene agli scambi professionali tra guida e cliente, che prevedono note sui progetti alpinistici, i tempi, le condizioni della montagna, l’attrezzatura e i futuri appuntamenti in funzione degli impegni di entrambi. Il secondo tema dello scambio epistolare contempla le note personali, che significano innanzi tutto la salute propria e dei familiari (questo vale probabilmente anche per le lettere di Bobba, ma possiamo solo intuirlo). Il terzo tema scivola nel ruolo istituzionale di Bobba, quindi le conoscenze e le competenze in seno al Club Alpino (da cui le guide alpine dipendono), e nel ruolo di magistrato, quindi l’esperienza e la competenza giuridica. In questo contesto Bobba è più un consigliere che un cliente, e probabilmente Thérisod fa lo stesso per riempire i dubbi del torinese circa la compilazione degli itinerari per le guide alpinistiche. Perché il loro patto, non dimentichiamolo, non consiste solo nel salire le montagne per soddisfazione personale, ma ancor prima nell’esplorarle, descriverle e divulgarle.
Dal punto di vista della divulgazione si legge un sottofondo di rivincita nel fiero Thérisod, che da valdostano sa bene quanto siano famosi e lodati i massicci del Monte Bianco, Cervino e Monte Rosa, su cui si sono concentrate prima le attenzioni degli alpinisti e poi le mire del turismo ottocentesco e novecentesco, con la nascita dei più blasonati centri di villeggiatura. Ma Casimiro ama sinceramente le sue Alpi, dal Gran Paradiso alla Grande Sassière, e altrettanto sinceramente si adopera con la complicità di Bobba perché siano più conosciute e frequentate, anche in funzione delle ricadute turistiche. Lo stesso mestiere delle guida alpina ha fermi caposaldi nelle storiche scuole di Courmayeur e Valtournenche, sotto il Bianco e il Cervino, nonché a Gressoney e Alagna ai piedi del Monte Rosa, mentre è più una stravaganza che una tradizione nelle valli “minori” come Rhêmes perché si ritiene, a torto, che solo le montagne che superano i quattromila metri e i massicci coperti di grandi ghiacciai meritino l’ingaggio di un accompagnatore di alta montagna. Anche in questo senso Thérisod rema contro corrente, dimostrando che non è la fama della montagna e fare di un accompagnatore valligiano una buona guida, semmai il contrario. Tra l’altro i ghiacciai si stanno già ritirando ai suoi tempi, perché intorno al 1850 è finita la Piccola Età Glaciale, ma la Granta Parei, la Tsanteleina, la Grande Rousse, la Grande Sassière e il Rutor – i monti di Casimiro – sono ancora bianchi come fate; ancora irresistibili. Bellissimi da salire per le guide e i clienti, e forse già più originali, interessanti, solitari, “esotici”, defilati dai percorsi più frequentati.
Invece la vita montanara è dura come sempre, anche se i cittadini la idealizzano con sguardo romantico. Si pena e fatica anche a Rhêmes-Notre-Dame, che ai villeggianti sembra il paradiso terrestre. Le montagne sono molto diverse se sognate dalla città dagli intellettuali come Bobba oppure vissute ogni giorno dell’anno dai valligiani come Thérisod. L’inverno è sempre lungo e i soldi sono sempre pochi, anche d’estate, specialmente se fa brutto tempo, non si può lavorare e le provviste si assottigliano a vista d’occhio. Anche questo si ricava dagli scambi di carta tra Giovanni e Casimiro, pur dietro la compostezza del montanaro e il rispetto del cittadino. In tal senso è una vera iattura che si siano perse le lettere di Bobba, che avrebbero permesso di confrontare non solo il botta e risposta tra i due, ma soprattutto di confrontare i sentimenti, le preoccupazioni e l’ambiente di vita dell’uno e dell’altro, inquadrando una distanza assai ridotta sopra i tremila metri, ma quasi sconfinata altrove.
Giovanni Bobba è morto a Valtournenche nel 1935, all’ombra del Cervino, dove si era ritirato negli ultimi tempi. Guardando in fondo alla valle il profilo triangolare della Tersiva, separato dal solco della valle principale, sicuramente gettava un pensiero ai monti di Thérisod.
Una capanna di legno ai piedi delle Petites Murailles porta il nome di Bobba, ed è un fantastico belvedere sulla Gran Becca, il santuario dell’alpinismo romantico in cui si sono fermati a dormire e sognare molti alpinisti tra le due guerre. Ugo De Amicis vi ha inscenato il racconto che apre il volume “Piccoli uomini e grandi montagne”:
«Al rifugio non c’era nessuno. Il portatore s’affaccendava a prepararmi la cena. Io guardavo intorno a me quella divina malinconia, che più che in altri momenti o aspetti della natura, si trova in un tramonto quieto di altissima montagna…»
A Thérisod, invece, è stata dedicata una via ferrata nel comune natio, che non è molto per un uomo che ha dato tanto alla valle. Casimiro resta una guida defilata, anche nel ricordo.
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