Pubblicazione

Oltre la tentazione del rifugio: le Alpi al Forte di Bard

Atti del convegno, Courmayeur 21 ottobre 2006

Il gruppo di progettazione dei musei di Bard, fortissimamente voluti dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta per ridar vita al Forte ottocentesco e marcare una significativa presenza culturale in valle, è nato nell’estate 2003 dal mio incontro con gli architetti Luisella Italia e Massimo Venegoni: Al terzetto si è affiancato, ma solo nella fase preliminare del concorso, il gruppo Event di Londra, affermato in tecniche multimediali. Inoltre si sono aggiunti numerosi esperti in materie tecniche e artistiche, non esclusi il cinema, l’animazione, la fotografia e il sound design.
Per navigare in mare aperto, oltre agli angusti fiordi dei cenacoli alpinistici, bisognava riunire professionisti e spiriti creativi che, più che “conoscere”, sapessero “tradurre” le montagne, per superare quella tentazione del rifugio iniziatico che sempre si ripresenta quando si tratta di “maneggiare” intellettualmente e visivamente le altezze.
Dunque siamo partiti da storie e visioni assai diverse, quella storico-scientifica e quella tecnico-allestitiva, per lavorare intorno a uno scopo comune: raccontare le montagne alla gente di oggi con gli occhi del nostro tempo.
Da subito il lavoro di elaborazione progettuale si è concentrato sul Museo delle Alpi, ambizioso “luogo” di ridefinizione delle Alpi stesse, la cui apertura era legata all’evento olimpico di Torino 2006. Le Alpi rappresentavano la prima sfida di Bard, faraonico lavoro di restauro fondato sull’idea di un “Pianeta montagna” da costruire e far vivere all’interno degli angusti locali del forte napoleonico, là dove un tempo i soldati invecchiavano nell’attesa di un nemico che non arrivava mai.
Il Museo delle Alpi è cresciuto intorno alla volontà, o meglio alla necessità, di frantumare ogni stereotipo e ogni giudizio preesistente, per abbozzare, elaborare e infine divulgare una nuova idea del territorio alpino, sulla scia di quegli studi geografici e antropologici che, sul finire del Novecento, hanno restituito dignità e verità al passato della montagna consentendo di immaginare un futuro emancipato dalla città, ma in stretta interrelazione con essa. Per fare questo non era possibile separare in alcun modo le esigenze scientifiche dal progetto allestitivo, perché si sarebbe inevitabilmente ricaduti nella spirale dei modelli preconfezionati e perdenti. Era necessario che la trama del museo nascesse da un lungo lavoro di sintesi, scomposizione e ricomposizione, e poi ancora sintesi, fino a creare un impasto in cui la linea di demarcazione tra contenuti e apparati scenici non si distinguesse più.
Per due intensi anni si è lavorato gomito a gomito tra esperti di montagna e architetti, storici e tecnici, studiosi e artisti, avvalendosi per la parte scientifica dei ricercatori più aperti, aggiornati e disponibili al dialogo, per trasferire i concetti della mente sul piano allestitivo adeguato all’idea di Alpi che, faticosamente ma incessantemente, andava via via delineandosi sul doppio tavolo di progettazione. L’impianto museografico è cresciuto in ventiquattro mesi, provando e riprovando, impostando e smantellando, smontando e ricominciando ancora, per coniugare e armonizzare fino all’ultimo dettaglio le informazioni, le storie, le rappresentazioni e le emozioni.
Innanzitutto si dovevano grattare via le risposte facili e scontate, così come nel restauro del Forte andavano eliminati gli intonaci fasulli per portare alla luce l’architettura originaria, e mettere a fuoco le Alpi che stanno «dietro la cartolina», cioè oltre quel fondale immutabile e falso che per circa duecento anni ha distorto l’immagine della montagna, popolandola di visioni e personaggi improbabili, caricandola di simbologie insostenibili, erigendo barriere e steccati, in definitiva allontanando il pubblico dal mondo alpino.
E’ stato un po’ come passare dai contenuti di un saggio a quelli di un film, anche se al posto della pellicola c’erano trenta sale da riempire, e le sale facevano parte di una costruzione straordinariamente seducente ma di arduo accesso, e l’arco alpino misurava oltre mille chilometri di estensione, e il film alla fine era il concentrato di almeno 10.000 anni di storia raccontata dagli specialisti a chi specialista non è.
Il risultato finale è un delicato dosaggio di apparati divulgativi e invenzioni spettacolari, con l’uso delle moderne tecnologie di ricostruzione virtuale affiancate a frequenti citazioni dei musei alpini tradizionali, dal museo naturalistico al museo etnografico. Anche la musica di Luigi Venegoni è entrata a pieno titolo nel percorso museale, creando in ogni sala un’atmosfera sonora dai diversi linguaggi e dalle diverse seduzioni.
Nelle nostre intenzioni il Museo delle Alpi non è mai stato un “crocevia” della nostalgia, memoria di un passato resuscitato artificialmente nelle stanze del Forte di Bard, ma un centro di narrazione e interpretazione delle Alpi contemporanee che, con il loro fascino e le loro contraddizioni, incorporano la storia e la tradizione alpina, in qualche modo spiegandola e giustificandola.
Nella progettazione si è cercato un continuo e faticoso dialogo tra presente e passato, nella certezza che si tratti dell’unico modo per capire e costruire il futuro. Inoltre si è dialogato costantemente tra natura e cultura, consapevoli che – almeno sotto i tremila metri di quota – non esita più un paesaggio “naturale” alpino, ma ogni luogo sia frutto delle secolari interazioni tra i montanari e il loro ambiente di vita. Infine il Museo delle Alpi ha rispettato l’interazione tra locale e globale, tra piccolo e grande, in modo che ogni esperienza parziale possa servire a ragionare sulla complessità alpina, e le Alpi, a loro volta, possano proporsi come caso esemplare delle catene montuose del pianeta, in quanto montagne abitate e situate a ridosso di metropoli europee.
Da tutte queste intenzioni è scaturito un museo vivo, fatto di persone, protagonisti, autori, testimoni, nella convinzione che la montagna esista se esistono le donne e gli uomini che la abitano, la frequentano e la sanno raccontare con il linguaggio del nostro tempo, superando gli steccati spesso esclusivi degli alpinisti o degli studiosi.
Al fine di proporre una pluralità di linguaggi, gli allestimenti si avvalgono dell’apporto di artisti di diversa provenienza. Così ogni tema scientifico è “svelato” e divulgato da un osservatore diverso (il naturalista, il geografo, l’antropologo, lo storico…) che, dietro lo schermo di un monitor, comunica la propria esperienza-conoscenza al visitatore.
Il pubblico, apprendendo, si rispecchia.