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Interviste
Elisa Pecar – Salbertrand (Valle di Susa)
38 anni, triestina di nascita e piemontese di adozione. Trasferitasi a Torino in giovane età, nel 1992 si iscrive alla Facoltà di Psicologia e nel 1996 si laurea in Psicologia del Lavoro. Non abbandona mai del tutto l’Università, insegna Psicologia clinica e generale ai corsi di formazione per Infermiere a Cuneo e a Torino. Intanto coltiva l’interessa per la montagna e prova a inventarsi una vita parallela.

Franco Del Moro – Mombarcaro (Alta Langa)
47 anni, nato e cresciuto in un centro della Brianza (Milano), dove era dipendente di una casa editrice. Si è trasferito con la moglie in alta Langa circa quindici anni fa, riadattando una casa-cascina affacciata sull’Appennino Ligure. Ora fa l’editore; pubblica un bimestrale di letteratura e alcune collane di libri.

Da quanto vive nel comune?
E.P. Dal 2002, nei periodi legati all’escursionismo estivo e invernale.
F.D.M. Dal 1996

Dove viveva prima?
E.P. Prima a Trieste e poi a Torino.
F.D.M. In Brianza, alle porte di Milano

Per quale motivo si è trasferita/o?
E.P. Cerca un rapporto più duraturo con l’ambiente alpino. Nell’estate del 2001 è cameriera in un rifugio sul versante al sole della Valle di Susa, dove scopre che c’è una gara d’appalto per un altro rifugio della media valle, sul lato opposto in ombra. Vince il concorso nel 2002 e a dicembre inizia a lavorare nonostante la neve, la solitudine e il gelo. Si fa carico di pesanti lavori di ristrutturazione, talvolta a spese proprie, e in tre anni riesce a trasformare il ricovero in uno dei più apprezzati rifugi delle Alpi piemontesi per la qualità della cucina, dell’ospitalità e dell’offerta culturale.
F.D.M. «Io e mia moglie, che fa l’agente di commercio, volevamo uscire dal grigiore: cercavamo una natura vera, dei cani, un lavoro indipendente. Inoltre volevamo una casa circondata dal verde sui quattro lati, con spazi molto aperti. Abbiamo scelto un posto veramente isolato, dove si spende meno e si può vivere con introiti più ridotti».

La scelta è stata volontaria o indotta?
E.P. Assolutamente volontaria. «Il mio obiettivo era vivere in un posto dove le persone fossero spensierate, in vacanza, e io potessi contribuire ad aumentare il loro benessere. All’inizio venivano, mangiavano e se ne tornavano indietro, mentre adesso si fermano anche la notte per vedere i cervi e gli altri animali.
Un giorno un cliente mi ha detto: “Sai che ci vuole coraggio a vivere come te” e io ho pensato che era vero il contrario, che ci voleva più forza a starsene in città. Mi fa impressione chi dipende dal fine settimana, come se vivesse per cinque giorni in apnea».
F.D.M. Del tutto volontaria. «In parte devono avere influito anche le mie discendenze contadine».

Com’è composta la sua famiglia?
E.P. E’ nubile e sottolinea: «Naturalmente ci sono dei limiti a stare qui, soprattutto sul piano della vita privata. È molto difficile condividere tutto questo con un compagno che abbia una vita “normale”. Bisogna trovare una persona che guardi nella tua stessa direzione».
F.D.M. Sono in due: lui e la moglie

Che cambiamenti ha portato il trasferimento?
E.P. «Sono cosciente di aver sacrificato alcuni aspetti della vita sociale e professionale, ma da quando sono qui non c’è giorno che non mi alzi a lavorare contenta.
Non potrei definirla una scelta estrema, ma ti cambia la vita. Ho scoperto la luce, ho scoperto l’acqua calda (non è una battuta!), quando torno giù trovo tutto un po’ strano e sopra le righe.
In città avevo perso la ritualità del tempo e delle stagioni; qui sei costretta a farci i conti. Se guardi le cose da questo punto di vista sei costretta a ridimensionare le tue priorità. Viene naturale anche quello. Per esempio spendo soldi in libri, viaggi, nel vino che mi piace, mentre altri desideri mi sembrano inutili».
F.D.M. «L’isolamento è una prova durissima, nel tempo diventa una fatica. Inoltre si paga il prezzo del provincialismo, anche spostandosi e partecipando agli incontri, alle fiere, alle proposte della città. In ogni caso, volenti o nolenti, il paradigma dominante resta quello urbano»

Che attività lavorativa svolge?
E.P. Alterna la professione di psicologa con quella di gestrice di rifugio. «Ho tentato un matrimonio tra due vocazioni: l’università e la montagna. Al rifugio ho organizzato molti seminari con i miei studenti, convincendomi che non sono poi due mondi così diversi».
F.D.M. Ha una casa editrice di piccole dimesioni, specializzata in letteratura. Dirige una rivista semestrale e pubblica numerosi libri. Si occupa personalmente di contenuti, relazioni, impaginazione e spedizione dei prodotti».

Che rapporti ha con la comunità locale?
E.P. Ha un rapporto duplice con i locali. «Da psicologa li definirei diffidenti e curiosi, allo stesso tempo. Mi hanno studiato per sei mesi come un essere pericoloso, poi sono stata adottata. Con gli anziani c’è stata una bella relazione, direi una contaminazione reciproca, mentre i giovani no, continuano a guardarmi storto, forse perché il rifugio gira bene».
F.D.M. Buoni rapporti, a parte la proverbiale chiusura dei piemontesi. «Quindici anni fa a Murazzano eri l’extracomunitario, qui sembrava “il mondo dei vinti”. Poi si è scoperto il turismo e questo ha cambiato la mentalità dei giovani. I miei vicini ora sono svizzeri, olandesi e australiani. Mi sento rispettato e so a chi rivolgermi, in caso di bisogno. In ogni caso cerco di restare indipendente dai condizionamenti locali»

Che rapporto ha con l’ambiente?
E.P. «Il bramito del cervo è uno spettacolo, una cosa che non si dimentica.
Una sera ho incontrato il lupo, ed ero sola. Ho visto il lupo attaccare le cerve, che sono scappate impazzite. Ho capito che anche la cerva sbranata è una cosa naturale».
F.D.M. «Qui la natura ti entra in casa: sei tu l’alieno. In principio ho esplorato le colline, ma ora le osservo in modo diverso: cerco il silenzio, cerco di pensare. A volte penso che questi posti rischiano di diventare il parco-giochi dei cittadini annoiati».

È soddisfatta/o dei servizi del territorio?
E.P. In generale sì.
F.D.M. «Non si può pretendere uno standard urbano. Però i servizi sono efficienti, la posta funziona e questo è fondamentale, per un editore. Ormai mi conoscono: lascio lì i pacchi e li spediscono automaticamente, senza neanche pagare alla consegna».

Ha vissuto momenti di difficoltà?
E.P. «Quando ho preso il rifugio avevo in tasca 500.000 lire e portavamo tutto su a spalle, io e qualche amico. Adesso ho la motoslitta, sono autosufficiente e non mi manca niente, anche se una famiglia non ce la farebbe a vivere solo con questo lavoro, con quel che si guadagna».
F.D.M. «Gli ultimi due inverni sono stati durissimi, sembrava di essere nell’Ottocento. Qui è inferno e paradiso, sei comunque isolato, non arrivano i manoscritti, stai davanti al computer e speri che suoni il telefono. Siamo sicuramente più fragili di una volta di fronte alla solitudine. Nelle Langhe si fa largo uso di psicofarmaci, e ci sono molti suicidi».

Quali sono i progetti futuri riguardo a residenza e lavoro?
E.P. «Per adesso va bene così, e non mi sento affatto un’eremita. Non mi sento nemmeno dissociata tra montagna e città, la vivo come un’intergrazione delle parti: le mie. Quando scendo a Torino o a Cuneo mi vesto da città ed entro in Università: mi viene naturale».
F.D.M. «Io non credo che potrei ritornare a vivere in città. Mia moglie invece comincia a sentire il peso di questa vita. E’ possibile che in futuro ci tocchi prendere due strade diverse».