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Uno sguardo dietro la cartolina


Talvolta gli allestimenti museali sono fortemente segnati dagli apparati scenici, a discapito del messaggio. Altre volte, al contrario, il peso dei contenuti scientifici rischia di soffocare il racconto e le emozioni. Altre volte ancora, nella più corretta delle ipotesi, scenografia e contenuti crescono in rispettosa coabitazione, pur tradendo l’appartenenza a pensieri distanti, scuole separate, diversi schemi interpretativi.
Il problema è particolarmente evidente nei musei dedicati alle Alpi, o meglio a sezioni geografiche o letture specifiche delle Alpi, perché un museo delle Alpi nel loro insieme non esisteva, prima di Bard. Il panorama culturale alpino è ancora pesantemente segnato dallo stereotipo romantico, oppure – sul versante opposto – da processi di acritica “modernizzazione” che tendono a ridurre la montagna ad appendice culturale della città.
Il Museo delle Alpi è cresciuto intorno alla volontà, o meglio alla necessità, di frantumare ogni stereotipo e ogni giudizio preesistente, per abbozzare, elaborare e infine divulgare una nuova idea del territorio alpino, sulla scia di quegli studi geografici e antropologici che, sul finire del Novecento, hanno restituito dignità e verità al passato della montagna consentendo di immaginare un futuro emancipato dalla città, ma in stretta interrelazione con essa. Per fare questo non era possibile separare in alcun modo le esigenze scientifiche dal progetto allestitivo, perché si sarebbe inevitabilmente ricaduti nella spirale dei modelli preconfezionati e perdenti. Era necessario che la trama del museo nascesse da un lungo lavoro di sintesi, scomposizione e ricomposizione, e poi ancora sintesi, fino a creare un impasto in cui la linea di demarcazione tra contenuti e apparati scenici non si distinguesse più.
Per due intensi anni si è lavorato gomito a gomito tra esperti di montagna e architetti (Luisella Italia e Massimo Venegoni), avvalendosi per la parte scientifica dei ricercatori più aperti e aggiornati, allo scopo di trasferire i concetti accademici sul piano allestitivo più adeguato all’idea di Alpi che, faticosamente ma incessantemente, andava via via delineandosi sul doppio tavolo di progettazione. L’impianto museografico è cresciuto in ventiquattro mesi, provando e riprovando, impostando e smantellando, smontando e ricominciando ancora, per coniugare e armonizzare fino all’ultimo dettaglio le informazioni, le storie, le rappresentazioni e le emozioni.
Innanzitutto si dovevano grattare via le risposte facili e scontate, così come nel restauro del Forte si grattano gli intonaci fasulli per portare alla luce l’architettura originaria, e mettere a fuoco le Alpi che stanno “dietro la cartolina”, cioè oltre quel fondale immutabile e falso che per circa duecento anni ha distorto l’immagine della montagna, popolandola di visioni e personaggi improbabili e allontanando il pubblico dal mondo alpino.
Quello vero.
Progettare il Museo delle Alpi è stata una lunga traversata oltre le apparenze (per usare la definizione della fortunata mostra “L’uomo e le Alpi” del 1993), è stato come passare dagli appunti di un saggio alle immagini di un film, o alle sequenze di un racconto, anche se al posto della pellicola c’era trenta anguste sale da riempire, e le sale facevano parte di una costruzione straordinariamente seducente ma di arduo accesso (anche interpretativo), e l’arco alpino misurava almeno 1200 chilometri di estensione (1200 chilometri da raccontare), e il film alla fine era il concentrato di almeno 10.000 anni di storia raccontata dagli specialisti a chi specialista non è.
A giochi fatti si può dire che il Museo delle Alpi sia cresciuto attorno a un’idea: quella di far raccontare le montagne ai testimoni. Non si voleva assolutamente che nascesse a Bard uno di quei musei impersonali e senz’anima dove entri e non sai chi ti sta parlando, e infine esci senza aver capito quale mente oscura e misteriosa – nel tentativo di interpretare e raccontare un mondo – ha ragionato per te senza nemmeno presentarsi.
Le Alpi sono diventate un museo d’autore, cioè un luogo assai caratterizzato dalla presenza di chi l’ha fatto, pezzo su pezzo, in veste di regista, fotografo, compositore, scultore, artista, scrittore, scienziato, testimone, naturalista, tassidermista e quant’altro, comunque autore e interprete di almeno un frammento della trama complessiva.
Nella progettazione del Museo si è proceduto in continuo dialogo tra presente e passato, nella certezza che si tratti dell’unico modo per capire e costruire il futuro. Inoltre si è dialogato costantemente tra natura e cultura, consapevoli che – almeno sotto i tremila metri di quota – non esita più un paesaggio “naturale” alpino, ma ogni luogo sia frutto delle secolari interazioni tra i montanari e il loro ambiente di vita. Infine il Museo delle Alpi ha rispettato l’interazione tra locale e globale, tra piccolo e grande, dove ogni esperienza specifica serve per ragionare sulla complessità alpina, e le Alpi, a loro volta, diventano un caso esemplare delle catene montuose del pianeta.
Molti ragionamenti hanno dato via al Museo. Alcuni tra i più significativi sono raccolti in questo catalogo, guida ai concetti fondamentali, agile strumento di approfondimento, ulteriore mezzo di interpretazione del meraviglioso, insolito e complesso mondo delle Alpi.