Pubblicazione

Prefazione


Ormai ovunque, anche nei luoghi più insospettati, la montagna del terzo millennio mescola il vecchio e il nuovo. Le valli sono un impasto di tradizione e modernità, un mondo fragile e complesso che si trova davanti a scelte difficili e decisive, ma soprattutto lontane dai modi classici di pensare le Alpi, i montanari, le terre alte. Paradossalmente la sopravvivenza della tradizione dipenderà dalla sua capacità di evolvere e dalla disponibilità a macchiarsi con culture diverse, difendendo i valori irrinunciabili e accantonando gli altri, discutendo e imparando le due lingue del pianeta: quella locale e quella del mondo globale e globalizzato. Pena la museificazione o l’estinzione.
La cultura alpina ha bisogno della cultura della città (ampiezza di visione, capacità di programmazione), così come i cittadini hanno bisogno delle montagne per ritrovare cieli liberi e tempi liberati. Il mondo è uno solo, ormai, declinato nelle concentrazioni abitative delle metropoli, nei distretti industriali, nelle campagne agricole, nei rarefatti avamposti dell’arco alpino.
Se guardiamo all’altro capo delle Alpi, in Valle d’Aosta, scopriamo che uno dei caposaldi della cultura e dell’economia locale, riflesso nello stereotipo della vache, del malgaro e della fontina, è stato silenziosamente sradicato dalla progressiva indisponibilità dei giovani a fare il lavoro del pastore, nonostante i sussidi e le agevolazioni. In dieci anni i pastori magrebini hanno sostituito i valdostani, senza clamori e con ottimi risultati. Una rivoluzione antropologica che, in altri tempi, avrebbe richiesto l’uso dei forconi e della polvere da sparo.
Se invece guardiamo ai masi del Sudtirolo utilizzando l’accurata ricerca di Francesco Bocchetti e Gianni Zotta, verifichiamo che un altro baluardo della civiltà e della mitologia alpina è in fase di rapida, anche se subliminale, trasformazione. Non è tanto lo stillicidio di giovani e meno giovani alpigiani verso i centri di valle, il rifiuto dei figli primogeniti maschi di farsi carico dell’eredità, il fastidio delle donne nel presidiare l’alta montagna, il passaggio dall’economia dell’autoconsumo all’economia del reddito, quanto – sottolinea Bocchetti – l’introduzione di una variabile eversiva: la variabile della scelta.
Come ha scritto Hartmann Gallmetzer, “i giovani sanno che giù, nel fondovalle, li attende una vita “migliore” (nell’accezione oggi prevalente nella società), se proprio la vogliono. Basta scegliere… Per dirlo platealmente, hanno un futuro, anche se forse non è quello che, nel loro intimo, si erano immaginati, perché è un futuro che ha dei costi”.
C’è una bella distanza dalle parole di Aldo Gorfer, che nell’accorata inchiesta sui masi di trentacinque anni fa annotava:
“I masi di montagna sono un mondo a sé. Ognuno è simile a un veliero in viaggio nel mare. Un incredibile lungometraggio storico, una reliquia che ci scotta nelle mani. Inoltre, il sogno perduto che la malinconia e la noia della nostra civiltà vanamente rincorre… E così il burrone che separa questo misconosciuto terzo mondo dal nostro smog quotidiano minaccia di rimanere senza ponte”.
Oggi il ponte è gettato, anche se per il turista ospite dell’agriturismo il maso resta un’architettura bella come allora, e se ci sono il telefono e la televisione è meglio, perché agevolano la vacanza senza togliere il silenzio, l’aria buona, i muggiti delle mucche, l’odore della stalla. E invece la televisione e internet hanno cambiato tutto, perché, appunto, hanno spiegato ai giovani “eredi” che la solitudine non è l’unico modo di vivere il proprio tempo ma ce ne sono degli altri, che andarsene è possibile ma è una scelta difficile, perché vuol dire lasciare un mondo conosciuto, sicuro, assestato, onorato, per affrontare l’incertezza.
Naturalmente il futuro non prevede solo viaggi dall’alpe verso la città. Le Alpi e i masi che verranno possono contemplare anche viaggi e incertezze in senso contrario, di migranti che scelgono la montagna per necessità, oppure di gente satura di città che decide di salire alla ricerca di quegli stessi valori (o disvalori) che generavano la fuga dei valligiani.
Dipende dallo sguardo. Così come i viaggi dei pionieri e degli innovatori, i valori possono avere due direzioni. Normalmente i montanari guardano alla montagna come a un’eredità del passato, talvolta amata e talvolta subita, ma dopo aver sperimentato i limiti dell’urbanizzazione si può cambiare prospettiva, leggendo nel mondo di ieri i segni del domani.