Pubblicazione

Prefazione


Gli scialpinisti sono razionali, maniacali, tecnologici e organizzati. Quando ho cominciato a frequentarli ho scoperto che la metà erano ingegneri.
Hanno ingegno, senza dubbio. Disegnano geometrie sul pendio, misurano i metri di dislivello e li incrociano con i tempi di salita, il numero di scarpa del compagno e i peli delle pelli di foca, creando logaritmi interessanti.
Come i ciclisti hanno un rapporto ossessivo con l’attrezzo. Adorano i propri sci, li cambiano spesso e ogni volta gli sembra di volare. Lo scialpinismo è fatto di montagne innevate e discese fatate, ma prima di tutto sono due assi di legno, resina e altre pozioni. Ci sali sopra e ti senti un dio, o un pirla, secondo i giorni.
Gli scialpinisti sono fortunati, perché gli basta una botta di neve e la montagna torna nuova. Ripetono ossessivamente gli stessi gesti disegnando sempre una traccia diversa. Se la vita fosse una gita di scialpinismo saremmo sempre giovani, sempre principianti, sempre pionieri. Studi il pendio, piloti gli sci e inventi la tua linea, sapendo che nessun uomo al mondo ha mai fatto lo stesso disegno e nessuno ne farà mai uno uguale. A meno che non segua la tua traccia, come fanno quasi tutti.
Gli scialpinisti hanno un problema: la cosa che li rende felici prova spesso a farli fuori. Si chiama neve ed è l’elemento imprevedibile della montagna. Il più bello e il più letale.