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Mila, intellettuale scomodo che sfidava le grandi vette
24 novembre 2010

Cento anni fa nasceva Massimo Mila, musicologo di fama europea e intellettuale scomodo, anticonformista, non allineato. Sarà ricordato a Palazzo Lascaris, con un convegno voluto dal Consiglio Regionale del Piemonte.
Nel tracciare le linee essenziali di una figura così complessa, i relatori si occuperanno delle due grandi passioni di Mila – la musica e la montagna – e della terza cifra sostanziale della sua vita, l’impegno antifascista, che al di là dei fatti biografici, soprattutto la prigionia e le lettere dal carcere (1935-1940), suona come presupposto e conseguenza di uno spirito critico indomabile, incapace di piegarsi ai dogmi, ai luoghi comuni, alle violenze del braccio e del pensiero.
Mila è stato un accademico molto particolare: all’università, in montagna, ovunque. Studioso rigoroso, severo con sé stesso ben prima che con gli altri, non si accontentava di accarezzare concetti; l’erudizione sterile non gli apparteneva. Mila era un esploratore delle idee, uno scalatore della conoscenza. Doveva sperimentare per capire, scomporre per ricostruire; e gli piaceva raccontare. È stato uno dei più prolifici autori della casa editrice Einaudi, spaziando da Mozart agli scritti civili. Amante della letteratura tedesca, ha tradotto il Siddharta di Hesse e Le affinità elettive di Goethe. Ottimo divulgatore, è stato critico de “L’Unità” e collaboratore de “La Stampa” per molti anni. I lettori del giornale lo conoscevano come raffinato intenditore di musica ed esperto narratore di vertigini alpine. Montagne e note: ecco che ritornano i due volti dell’uomo.
Addentrandosi sul terreno alpinistico, si rende necessaria una precisazione. Mila non è un intellettuale imprestato alla montagna per ragioni artistiche, filosofiche o letterarie. Al contrario. Mila è un alpinista a tutto tondo, introdotto ai cimenti dell’arrampicata dal rude addestramento valligiano di Renato Chabod e confermatosi poi, nei decenni, come un fedele, entusiasta, quasi ossessivo frequentatore di ghiacci e rocce. Egli stesso definisce la passione per le vette «l’altra faccia della mia persona», intendendo che l’impegno mentale del musicologo o del traduttore è compendiato da quell’altro sforzo, questa volta fisico e squisitamente artigianale, che consiste nel salire le montagne.
Mila è un valente dilettante, specialista delle Alpi occidentali, infaticabile collezionista di creste e cime di tre o quattromila metri. Arrampica fino al quinto grado da primo di cordata e frequenta le Alpi sia in estate sia in inverno, con gli sci e le pelli di foca. Il corposo curriculum di ascensioni unito all’impegno divulgativo per la montagna in veste di commentatore e di storico gli valgono l’ammissione al Club Alpino Accademico, il cenacolo che raccoglie l’élite degli alpinisti italiani.
Con interpretazione personale e del tutto originale, Mila sostiene che l’alpinismo sia parente stretto della geografia e che la sua intima vocazione consista nel «conoscere attraverso il fare». Nessun riferimento alla visione simbolica delle vette che contraddistingue il pensiero di un altro grande del Novecento italiano, Dino Buzzati, e tanto meno alle derive eroiche di matrice idealistica che influenzano certi arrampicatori dolomitici del Ventennio, a cominciare da Domenico Rudatis. Per Mila scalare una parete o salire un oscuro vallone con gli sci equivale prima di tutto a conoscere a fondo un pezzo di questo mondo, completando quell’esplorazione della terra e di noi stessi cui siamo chiamati se vogliamo chiamarci uomini. Di conseguenza anche la sua scrittura è piana, essenziale, senza fronzoli romantici. La vena ironica avvicina i suoi récits d’ascension alla letteratura alpinistica anglosassone, da Mummery a Stephen; l’incisività e la schiettezza delle descrizioni, appena celate dal bisogno di understatement, ne fanno un chiaro esponente di quel sentimento subalpino della montagna che, rinvigorito dalla prigionia e dall’antifascismo, accomuna le pagine di Primo Levi, Natalia Ginzburg e Nuto Revelli.
Gli alpinisti non l’hanno dimenticato. A Massimo Mila è dedicato un rifugio sulla placida sponda del lago di Ceresole, ai piedi del Gran Paradiso.