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La Stampa: selezione di articoli

La trappola della prima nevicata
8 dicembre 2008

Se ci fosse una relazione tra bellezza e salvezza le valanghe non esisterebbero, o almeno non farebbero male. La tragedia di ieri in alta Val Pellice è purtroppo emblematica: tempo perfetto, neve fredda e leggera, quasi zucchero, cielo cobalto senza nuvole. Sotto le valanghe si muore così: nel paesaggio dei nostri sogni.
Naturalmente l’esperienza conta, ma non è sufficiente. Alcuni tra i grandi esperti della neve sono morti soffocati dalla valanga: Toni Gobbi, Franco Malnati. Guide alpine, istruttori di alpinismo, gente nata con gli sci ai piedi. Le valanghe, con i fulmini, sono il pericolo meno preventivabile in montagna. Non si staccano perché fa brutto tempo, perché è troppo presto o troppo tardi, perché non ti senti bene, perché… Le valanghe invernali si staccano e basta, anche in un paesaggio da cartolina, quando la traccia di uno sciatore o di un escursionista “taglia il pendio”, come si dice in gergo, rompendo l’equilibrio degli strati nevosi accumulati dalle perturbazioni, lavorati dal vento e dal sole, ingannevolmente saldati dal gelo. È legge della fisica, è matematica, così come è matematico, lo dicono le statistiche, che se si viene sepolti si può sopravvivere per qualche minuto, cinque-dieci al massimo, ma poi le probabilità calano, precipitano, una parabola in picchiata.
Giustamente il Soccorso alpino e le scuole di sci alpinismo ribadiscono la necessità dell’Arva (l’apparecchio elettronico di ricerca sotto la neve), battono sul chiodo della rapidità e della ricerca incrociata (primo soccorso con sonde e pale, allerta immediata dell’elicottero, intervento dei cani), fanno provare e riprovare le operazioni di sondaggio e scavo, perché se non ce la fai quando è solo un’esercitazione come puoi trovare l’amico che sta sotto?, ma alla fine esistono solo due soluzioni sicure dopo le grandi nevicate: sciare in pista o stare a casa.
Quest’anno le precipitazioni sono state eccezionalmente precoci e abbondanti, intervallate da giorni di vento che hanno complicato la situazione, formando pericolosi lastroni pronti a creparsi alla prima sollecitazione. Le giornate sono corte e il sole non è in grado di “lavorare” la neve come in primavera, quando la trasformazione del manto avviene rapidamente e la tenuta degli strati è assicurata da lunghi mesi di assestamento progressivo. A inizio inverno i cristalli di neve sono incoerenti e instabili, e hanno bisogno di tempo per prendere corpo. Bisogna dargliene il tempo.
Se ci fosse qualche relazione tra velocità e sicurezza, oggi si morirebbe di meno sotto le valanghe. Tutti vanno più veloci con gli sci corti e gli scarponi leggeri. Ma con le valanghe conta la pazienza, che è figlia della lentezza, valore d’altri tempi.