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La nuova favola del lupo buono


A spingere la Fondation Grand Paradis a indire il concorso letterario Lupus in fabula c’è stato certamente il ritorno del lupo nelle valli aostane del Gran Paradiso, in particolare in Valsavarenche, ma non solo questo. Il lupo è una figura simbolica che estende la propria fama oltre ogni limitazione geografica e temporale, il lupo è il grande protagonista delle favole e delle leggende, il lupo è la dimostrazione contemporanea di come selvatico e domestico possano convivere solo se si sceglie di farlo. E l’ultima parola spetta naturalmente all’uomo.
Nelle centinaia di racconti partecipanti al concorso – in genere di buona fattura linguistica, con una più che accettabile conoscenza naturalistica e un notevole ventaglio di idee e fonti ispirative, spesso caratterizzati da stile epico-favolistico, raramente da linguaggio giornalistico di cronaca – colpisce la quasi totale assenza del conflitto attuale uomo-lupo. Le poche allusioni si riferiscono a fatti storici lontani nel tempo o a rappresentazioni metaforicamente atemporali, come cresciute e congelate nel patrimonio leggendario; sembra che la questione dei conflitti contemporanei sia stata rimossa per ragioni narrative, o che sia ignorata o almeno fortemente sottovalutata dagli autori.
Eppure il problema esiste, eccome, sia dal punto di vista degli allevatori che vorrebbero sbarazzarsi dei lupi per eliminare il rischio delle predazioni, sia da quello degli animali che si sentono ancora una volta minacciati dalle doppiette. Anche se in Valle d’Aosta il conflitto si presenta ancora in forma sfumata per la scarsa presenza degli ovini, basta scendere verso le valli alpine del Piemonte o nelle confinanti valli francesi delle Alpi Marittime per scoprire che il lupo non è solo un lieto ritorno dal mondo delle favole, ma è anche una presenza scomoda e portatrice di polemiche accese e di difficile soluzione.
Un’opinione tra le tante: Mariano Allocco, personaggio molto ascoltato nelle valli del Cuneese. Scrive dalla Val Maira:
« Parliamoci chiaro, la presunzione della convivenza possibile tra predatore e animali in alpeggio è un assunto ideologico. In Val Maira l’alpeggio ovino ha chiuso e tra breve andrà ridiscusso quello brado di bovini ed equini e l’alpeggio così come lo si è gestito per secoli non sarà più possibile.
Il nuovo piano di difesa degli ovini dal lupo della Regione Piemonte prevede la sorveglianza continua del gregge, il confinamento notturno degli animali, i cani da guardia, i dissuasori acustici, la gestione coordinata delle greggi fra più soggetti e il Piano aziendale dovrà valutare anche la possibilità di variare la zona di monticazione temporaneamente, definitivamente o per parte della stagione di alpeggio (!?). E se, per assurdo, il problema in montagna non fossero i lupi, ma la presenza dei montanari? ».
Fanno eco i montanari di Barcellonette, vivace città delle Alpi francesi dietro il Colle della Maddalena: per l’emergenza lupo hanno creato l’associazione degli «Indignati dell’Ubaye». La loro azione si dichiara «disinteressata e non corporativistica perché nessuno è allevatore, non sono motivati da alcuna ideologia, agiscono semplicemente mossi dal buon senso a fronte delle flagranti ingiustizie determinate dalla presenza dei lupi che minacciano gravemente il mondo della pastorizia. Questa secolare attività presente ab immemore sulle nostre Alpi fa parte del nostro patrimonio umano, storico e naturale, occorre proteggerla e incoraggiarla, la qualità stessa del nostro ambiente ne dipende ».
Quanto è lontano da tutto ciò il celebre passo del profeta Isaia!
«Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà ».
Non c’è dialogo e non c’è scambio tra la visione ecumenica del lupo che torna ad arricchire l’ecosistema montano – interpretazione che peraltro traspare in quasi tutti i lavoro del concorso – e la realtà conflittuale che il suo ritorno ha innescato nelle Alpi occidentali. Si pensi che, a dispetto delle ricerche e delle dimostrazioni scientifiche, non pochi montanari si ostinano a sostenere che il lupo non sia risalito spontaneamente lungo il crinale appenninico ma sia stato reintrodotto da qualche naturalista incosciente. A tal punto si spinge la frattura ideologica tra le due visioni!
Tutto questo, come si è detto, non è stato preso in considerazione dai partecipanti al concorso Lupus in fabula, che invece hanno focalizzato i loro racconti sui connotati simbolici e agiografici della figura del lupo nella storia e soprattutto nella leggenda, insistendo sulla visione manichea del predatore: il lupo buono e il lupo cattivo. L’immagine negativa risale a molti secoli fa, come ha osservato lo storico Ortalli, autore di un importante saggio su Lupi, genti e culture:
« Nessun altro selvatico è stato nell’età di mezzo (il Medioevo) altrettanto pensato, temuto, riconsiderato, tenuto presente, in un contesto generale per cui davvero è lecito chiedersi se la presenza del lupo fosse più inquietante o familiare per gli uomini del tempo. E il mondo medievale non soltanto lo combatté, ma di lui anche parlò, scrisse, pensò con un’intensità e una tensione tali da rimodellarne l’immagine in termini nuovi rispetto al passato, mettendo a punto una nuova cultura dell’animale ».
È nel Medioevo che nasce la figura del lupo feroce, dannoso e cattivo, ma l’archetipo culturale si mantiene nei secoli. Nel 1573, quando il Medioevo è ormai finito da tempo, in un famoso e apprezzato trattato sulla Venerie, Jacques du Fouilloux afferma senza tema di smentita che « fra tutti gli animali selvatici il lupo è sicuramente il più malvagio, quello che più fa danno, il più nocivo, quello che merita di essere cercato, inseguito e cacciato dai cani e dagli uomini ».
E ancora tre secoli più tardi, nel 1863, il barone Dunoyer de Noirmont sostiene che « di tutte le grandi cacce, quella al lupo è la sola che abbia un carattere di utilità pubblica ». Infatti il lupo, nella credenza popolare, attacca anche le persone e in particolare i bambini incaricati di portare al pascolo gli animali domestici. Il lupo non è solo un predatore di pecore, ma è anche uno sterminatore di fanciulli!
Da secoli il lupo ha dunque rappresentato uno dei maggiori spauracchi per l’uomo delle campagne e delle montagne, tanto da entrare come protagonista nelle favole di molte culture europee. La più celebre resta Cappuccetto rosso, di cui esistono numerose varianti. È stata trascritta nel Seicento da Charles Perrault col titolo Le Petit Chaperon Rouge e dai fratelli Grimm due secoli dopo come Rotkäppchen. Con un lupo devono confrontarsi sia I tre porcellini (favola pubblicata per la prima volta da James Orchard Halliwell-Phillipps intorno al 1843 nella raccolta Nursery Rhymes and Nursery Tales, che riprende certamente un racconto della tradizione orale) sia il Pierino della fiaba russa messa in musica da Sergej Prokof’ev nel 1936. Dal lupo deriva il nome del quartiere di Parigi chiamato Louvre, dove è cresciuto il famoso museo d’arte. E anche in Italia, nelle più disparate versioni, il lupo si ritrova in molti toponimi: Prà del Luv, Buel del Lovo, Lova, Lupari, Lupicello, Lupaia, Lupicaia, Lupareccia. «Attenti al lupo (cattivo)!» è espressione così popolare da diventare il ritornello di una famosa canzone di Lucio Dalla, un modo di dire così immarcescibile da conservare il suo significato per secoli fino all’era del digitale.
In un certo senso anche i lavori del nostro concorso si inseriscono nella tradizione, pur rovesciandone l’assunto di base. Dalla gran maggioranza dei racconti emerge infatti una versione «moderna » della favola del lupo che lo dipinge come « buono », di solito, e come vittima sempre: i piccoli di uomo e i cuccioli di lupo si incontrano all’insaputa degli adulti, perché solo i bambini sanno che il lupo è buono e vogliono salvarlo dai fucili e dalle tagliole. Talvolta interviene un mediatore (il nonno, il guardaparco) per aiutare i bimbi a salvare e curare i lupi, che comunque, alla fine della favola, vanno quasi sempre rimessi in libertà nella consapevolezza che sono dei selvatici e soffrirebbero a vivere in cattività.
Non appare dunque la complessità contemporanea del rapporto uomo-lupo, pastore-predatore, domestico-selvatico, ma il conflitto è traslato sul piano della metafora morale (lupo buono e mondo cattivo) ed è risolto attraverso la fantasia. Ma si ricade in un nuovo luogo comune, in cui la natura è quasi sempre buona e la civiltà è cattiva. I piccoli sanno capire gli animali perché conservano sentimenti poetici e di pietà, gli adulti no, perché sono troppo materialisti. In qualche misura si ribadisce l’antico mito della civiltà corruttrice, anche se poi nella realtà, paradossalmente, sono proprio i cittadini a prendere le difese del lupo.
Concludiamo con la significativa citazione di un racconto iscritto alla categoria « Ragazzi », che si è meritato il secondo posto nel concorso perché dimostra particolare attenzione alla complessità dei fatti. Si intitola La rivolta di Narg:
« Le fiabe di Cappuccetto rosso, i Tre porcellini, i Sette caprettini e molte altre li raffiguravano come dei mostri… I lupi stabilirono che questa ingiustizia doveva finire; per questo Narg e la sua squadra decisero di organizzare una rivolta: far sparire dalla faccia della terra tutti i libri che parlavano male dei poveri e innocenti lupi… Sarebbero andati nella città e avrebbero saccheggiato tutte le biblioteche e le case; in seguito avrebbero sotterrato tutti i libri che li avevano ingiustamente accusati; l’impresa avrebbe avuto inizio il giorno successivo, gli umani non dovevano venirne a conoscenza altrimenti sarebbe stato un autentico disastro…
Il mattino seguente tutti i bambini del mondo si svegliarono e nelle loro camere non trovarono più i loro libri di fiabe preferiti e furono molto, molto tristi; Narg sentiva i loro pianti e non poteva sopportarli; decise così di fare una cosa che gli sarebbe costata un grande sacrificio: prese tutti i libri e a piccoli gruppi li riportò, quella stessa notte, nella camera di quei dolci bambini »..