Pubblicazione

Per non cadere nell’utopia…

Annuario del CAI Torino

E’ difficile parlare in modo unitario di questo nuovo numero di Scandere.
Gli autori e le imprese stesse, sono quest’anno prevalentemente piemontesi. Ma, anche per questo, l’impressione è positiva.
Non per campanilismo, ma perché è inutile partire da una dimensione volutamente allargata, che esprima modelli ad ogni costo per tutti, volando rasente sulle realtà per portarle il più lontano possibile. Si tratta di una contraddizione. Al contrario, in questi anni di ripensamenti e di piccoli e frustrati tentativi individuali, è proprio indispensabile iniziare dal piccolo e concreto (da ciò che veramente si “possiede”), perché il progresso sia prima di tutto di chi scrive. Con queste premesse lettori verranno contagiati anche loro, ma sarà un passaggio successivo; forse, per ora, perfino secondario.
Messaggi universali, dogmi assoluti, verità definitive: non sono che ostacoli alla conoscenza, come dimostra magistralmente Tom Higgins nella grande sceneggiata intitolata In due time. Per non cadere nell’utopia, è quindi giusto che SCANDERE pigli le mosse dalla tradizione alpinistica piemontese la quale, dopo le esperienze vivissime degli anni Cinquanta e Sessanta, attraverso le differenti scuole di Rossa, Dionisi e Mellano (sulle quali ci proponiamo di ritornare), dopo gli anni del tentativo californiano e le faticose conquiste del Nuovo Mattino, continua – anche quando il dibattito non si palesa – il suo lento e difficile cammino. E’ giusto a patto che si ricerchi una visione aperta.
Questa tradizione e questa cultura si sono espresse quest’anno in una prassi significativa attraverso la bella salita al Changabang, che qui documentiamo con un’indispensabile introduzione storico- alpinistica. Sensibilità e interesse verso una realtà di cui spesso si parla, ma quasi mai in modo serio, sono state le premesse per il lavoro sulla donna in montagna, scritto da donne perché il tema è ancora di loro appannaggio. Inoltre riportiamo il tentativo un po’ ambizioso, e volutamente incompleto, di affrontare il discorso relativo ai legami tra letteratura e alpinismo, almeno riferito al secondo dopo guerra in Italia.
Stefano Ardito, da parte sua, ci offre la testimonianza dell’arrampicata in un ambiente molto diverso da quello torinese; i giovani romani sono lo specchio di una realtà nuova e dinamica.
Al termine del lavoro, discutendone in redazione, ci siamo accorti di amare ancora troppo l’analisi e la problematizzazione dei fatti, a tutto discapito del racconto fluido e spontaneo, dell’esperienza pienamente vissuta e non ideologicizzata.
È un vizio tipico del nostro tempo, da cui occorre liberarsi.