Pubblicazione

Introduzione

Atti della tavola rotonda: Forte di Bard, 12 luglio 2014.

Al Forte di Bard si è partiti dall’affascinante Museo delle Alpi, che contiene molte metafore della montagna a cominciare dall’alpinismo. Salire le cime per cercare se stessi.
L’esperienza della scalata trascende l’atto fisico per caricarsi di significati simbolici: basta arrampicarsi su una pianta di un certo rispetto, sulla torre del paese o ancora meglio su un’altura montana, per accorgersi che il mondo della pianura e i relativi riferimenti cambiano proporzioni. Guardandolo dell’alto il grande diventa minuscolo, ciò che era importante passa in secondo piano,le priorità della vita quotidiana svaporano e si confondono via via che si fa il vuoto, fino a dissolversi in una presenza affettuosa ma distante. Mentre l’altura o la parete si compongono in forme tangibili, il mondo del piano perde peso e si ridimensiona. Al contempo la giusta distanza pulisce lo sguardo sulla vita “di sotto” e aiuta a comprenderla.
Questo succede a chi scala fisicamente la montagna, ma anche a chi la sale con il pensiero, il desiderio, lo spirito: scalatori, filosofi, asceti. L’ascesa non è una conquista bensì una tensione verso l’alto, un viaggio verso una cima che di fatto non esiste perché è sempre sormontata da un cielo irraggiungibile.
Gli alpinisti hanno imparato da tempo che la cima non è un traguardo definitivo, ma solo la fine di una visione.
Il grande scalatore friulano Giusto Gervasutti, quando completò il suo percorso sulla parete est delle Grandes Jorasses, scrisse malinconicamente: «Niente fremiti di gioia, niente ebbrezza della vittoria. La meta raggiunta è già superata. Direi quasi un senso di amarezza per il sogno diventato realtà. Credo che sarebbe molto più bello poter desiderare per tutta la vita qualcosa». Nell’appassionante incontro del 12 luglio 2014 al Forte di Bard si è parlato di ascesa in questi e molti altri termini, dialogando con alpinisti, psicoanalisti, filosofi e religiosi. Più che dell’“alto” ci si è occupati del “basso”, perché ogni forma di salita deve fare i conti con la realtà del mondo sottostante, sia essa fisica che simbolica. Che la si legga da un punto di vista sportivo, religioso o psicologico, ogni proiezione verso il cielo deve servire a dare un senso alla nostra permanenza in terra. Non esiste la possibilità della fuga definitiva; esiste l’umana tensione a un mondo superiore, più immateriale ed essenziale purché si sia disposti a confrontarsi con la materia, la moltitudine, l’umanità.
È questa la sorprendente conclusione dell’incontro di Bard.