Pubblicazione

Introduzione


Credo che questo primo serio tentativo di scrivere la storia dei rifugi alpini sia non solo importante, ma necessario. In passato gli storici dell’alpinismo hanno abbozzato alcune trame dal punto di vista degli utilizzatori, che da quasi due secoli interpretano il rifugio come un trampolino per le ascensioni in quota o un ricovero in caso di necessità. Nient’altro. Gli escursionisti non se ne sono mai occupati fino in fondo, forse ritenendo il tema priorità degli alpinisti. Gli storici del turismo considerano il rifugio come l’avamposto di un turismo di nicchia, o come semplice surrogato dell’albergo di valle. Gli architetti, infine, hanno generalmente visto nel rifugio una costruzione troppo essenziale (spartana, primitiva) per giustificare l’impiego dell’analisi storica, senza spingersi oltre i tecnicismi del caso e alcune discussioni di carattere concettuale.
Invece scopriamo che proprio nella semplicità non voluta dai costruttori ma imposta dalle rigidità ambientali, sta lo straordinario interesse dei rifugi, o bivacchi, o capanne d’alta montagna, dove l’estro dei progettisti non si misura tanto con la tradizione o con l’estetica, quanto con la necessità di ospitare delle persone fragili, a volta a centinaia, nei luoghi meno abitabili dell’Europa abitata. La progettazione di un rifugio d’alta quota è stata e resta una sfida evidente all’intelligenza e alla creatività degli architetti, più che mai in un tempo in cui il tema dell’abitare si allarga dalla città all’altrove, perché il “centro” riconosciuto della vita scociale non esiste più: al tempo di internet tutto è centro e tutto è altrove.
Per i cacciatori e i pastori che per millenni hanno attraversato le Alpi, rifugio era soltanto uno spiovente di granito per difendersi dal temporale o un tetto di calcare dove far dormire le greggi. Per le milizie romane costrette loro malgrado ad affrontare le montagne, rifugio era un ricovero militare sulle vie degli eserciti, luogo coatto da abbandonare al più presto per ritrovare vera protezione in pianura. Per i monaci e i viandanti medievali rifugio era un posto in cui riposare e meditare al riparo del mondo. Poi arrivano l’alpinismo e il turismo, e se si leggono le cronache ottocentesche del Montenvers o del passo di Grimsel si scopre che il rifugio, o meglio la notte alpina, diventano il primo motivo di fascinazione per la gente di città. Di giorno la montagna è bella, ma di notte è magica.
«Tutta quella sterminata notte carica d’abissi – scrive lo scrittore francese Samivel – ruotava intorno alla minuscola conchiglia di latta dove riposavano gli uomini. Là dentro c’era uno spazio addomesticato, ancora fremente di gesti umani… Nient’altro che cuori amici, una particolate tenerezza delle cose fatte per essere usate dall’uomo… La capanna navigava, come un’arca carica di tepore e di vita, tra le lunghe onde del silenzio e della morte».
È l’immagine romantica del rifugio alpino, che per quasi due secoli regge ai tentativi sacrileghi di innovazione e ancora oggi alberga nei retroterra psichici di chi dorme a tre o quattromila metri. Eppure il rifugio ai tempi di internet è ormai un edificio abbastanza paragonabile agli hotel di fondovalle, con camere, docce, ristorante e vetrate che si affacciano sul mondo esterno. Gli architetti non concepiscono più il rifugio come un romantico spazio di ricovero in attesa della scalata, piuttosto come luogo di passaggio e di scambio. Per questo utilizzano materiali, arredi e soluzioni abitative funzionali al turismo intensivo, guardando sempre più alla valle che sale e sempre meno alla montagna che sta su.
Al contempo il rifugio acquisisce nuovi significati, diventa simbolo del turismo leggero, rispettoso, consapevole, innanzitutto perché di solito ci si sale a piedi, mischiando sudore e curiosità, guadagnandosi un piatto di pasta o una fetta di crostata. Poi perché il rifugio tende a essere autosufficiente dal punto di vista energetico e presidia i posti più belli, alti, panoramici, luoghi anche metaforicamente lontani dall’inquinamento luminoso delle città e vicini alla luce delle stelle. È ancora la notte che fa del rifugio un posto speciale, quando il silenzio avvolge la montagna e ci si trova finalmente soli con il rumore del vento e le voci degli animali.
Infine c’è un altro significato che appartiene al rifugio moderno, un lato interessante. Il ruolo più innovativo del rifugio contemporaneo è probabilmente quello del posto tappa, che accoglie e rifocilla l’escursionista alla fine della sua giornata di cammino e gli permette di attraversare montagne, colli, genti, paesi, riconoscendo le comunanze e le diversità dell’ambiente alpino senza mai scendere a valle. Si tratta di un turismo veramente “capace di futuro” perché non conquista la montagna ma la unisce: le persone s’incontrano in rifugio non per sfidarsi ma per conoscersi. Una bella immagine per le Alpi che verranno. Speriamo.