Pubblicazione

Contributo

Estratti e materiali dalla tavola rotonda, Bussoleno 7 giugno 2014.

Il tema è molto interessante ma è anche molto ampio per cui bisogna cercare di dargli un po’ una quadra. Io sono di formazione storico, ma state tranquilli non voglio farvi la storia delle Alpi, però trovo che bisogna sempre dire una cosa per ragionare sul presente. Le Alpi sono state sempre, nei secoli, un luogo al centro di un mondo, pensate alla Repubblica degli Escartoun, pensate ai Ladini nelle Dolomiti, quello che li univa era la montagna, e ci si univa perché si avevano esigenze, culture, lingue comuni, e chi viveva a 1500 metri non faceva fatica a dialogare con chi viveva nella valle a fianco alla stessa altezza perché i problemi erano simili. È una banalizzazione questa, perché poi le montagne sono anche un ostacolo, una frontiera da superare, però indubbiamente si cercava di coalizzarsi intorno alla montagna; e la pianura era considerata come qualcosa di distante, che si poteva raggiungere, e a volte si doveva raggiungere per necessità, pensate alle migrazioni temporanee che sono sempre state presenti nelle valli alpine, ma comunque c’era una certa autonomia, politica, sociale ed economica da parte delle montagne.
Ecco, tutto questo finisce con un problema molto semplice ma molto grave, col fatto che nel Settecento, con la fondazione degli Stati nazionali, qualche cervellone indentifica la linea di spartiacque come linea di frontiera, che era un concetto logico dal punto di vista cartesiano, ma molto illogico dal punto di vista antropologico, sociale, ecc. perché appunto queste frontiere non esistevano precedentemente, le frontiere erano altre. Quindi voi immaginate, lo sappiamo tutti, le nostre Alpi occidentali diventano linea di demarcazione; il Monte bianco, che ad esempio per i Savoia era un perno, perché era Savoia Chamonix come Courmayeur, diventa una frontiera, e in tutto l’arco alpino si ripete questo discorso e diventa un problema per chi vive la montagna, nel senso che chi vive la montagna che prima era il centro del mondo, diventa un marginale, diventa la periferia. Ecco questo secondo me è importante da tenere presente perché ci dà la misura di cosa era prima e di cosa diventa dopo.
Nel Settecento e nell’Ottocento ci sono due fenomeni antitetici che però sono fondamentali per capire cosa succede oggi: da un lato c’è la città che scopre la montagna, quindi il fenomeno del turismo, quindi gente che sale dal basso verso l’alto perché scopre, nei luoghi che prima erano considerati del tutto inutili e da evitare, qualcosa di bello (il romanticismo, si scopre il bello nei ghiacciai, nelle cime, in questi luoghi che erano abitati dalle streghe, dai demoni, e da creature malvage, diventano luoghi pittoreschi e affascinanti, e quindi ecco il fenomeno del turismo e dell’alpinismo, che sono paralleli, questa salita della città in montagna che però è una salita breve, nel senso che si concentra sui mesi estivi o su alcune settimane invernali. Dall’altro lato c’è un fenomeno opposto che però ha la stessa radice, che è la migrazione non più stagionale, che era una migrazione virtuosa se vogliamo, perché i montanari scendevano, imparavano un mestiere e poi lo riconducevano nelle valli dandoci, per esempio, quelle bellissime testimonianze di architettura e di arte che oggi vediamo – non sarebbero state possibili se il montanaro fosse rimasto chiuso dentro la sua valle come un eremita –; però questa emigrazione virtuosa diventa invece una emorragia di persone, diventa una emigrazione permanente, perché le fabbriche di pianura, soprattutto nella seconda metà del Novecento, cominciano a tirare come delle calamite i montanari che nel frattempo si sono molto impoveriti per ragioni varie quasi dappertutto, pensate alle testimonianze di Nuto Revelli nel Mondo dei vinti, questa spaventosa emorragia verso la Michelin, verso la Fiat, che vuol dire il 70, 80, 90% di esodo dalle valli del cuneese, per esempio, verso la pianura, e quindi le valli si svuotano.
Quindi due fenomeni contrapposti: da un lato le valli che si riempiono di cittadini sfaccendati che però spesso non conoscono la realtà e non la vogliono conoscere, e nel contempo montanari che non riescono più a sopravvivere in montagna e che scendono a valle perché c’è il posto fisso di lavoro. Ecco, io dico questo perché, secondo me, il mondo è di nuovo cambiato, cioè noi non possiamo continuare a pensare, come fanno alcuni romantici, che la montagna, la vita alpina, sia quella dell’Ottocento, così come anche il turismo è un fenomeno che sta cambiando rapidamente. Allora dobbiamo ragionare in questi termini: l’emigrazione per fortuna si è arginata perché aveva raggiunto dei livelli spaventosi e oggi se guardiamo le mappe demografiche vediamo che il Piemonte ad esempio cerca più o meno di tamponare le falle, con qualche piccolo fenomeno di ripresa, ma per esempio le montagne di lingua tedesca non si sono mai svuotate del tutto e anzi oggi sono in ripresa notevole, compresa la Svizzera… I fenomeni più degradati sono nelle nostre valli e nelle valli della Carnia, dove c’è stata l’emorragia più grave. Ora però diciamo che il fenomeno si è arrestato, ma soprattutto non c’è più questa calamita della città e della fabbrica, perché purtroppo la fabbrica chiude, purtroppo la città è in crisi come lo è la montagna se non di più, e quindi questo è un dato fondamentale. L’altro dato fondamentale è che il turismo anche non è più quello degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta del Novecento, quando sembrava che lo sci avrebbe portato denaro per l’eternità e costruendo seconde case in montagna tutti si sarebbero arricchiti, i cittadini e i montanari allo stesso modo per l’eternità, eccetera. Tutto questo fa acqua da tutte le parti, perché le seconde case di montagna sono per lo più vuote o abitate per brevissimi periodi dell’anno (anche se adesso c’è un po’ un fenomeno di ripresa perché ci sono meno soldi per cui qualcuno dice: «magari vado a far le vacanze a casa mia perché non ho più i soldi per andare alle Seychelles»), ma soprattutto lo sci, che è stato l’impatto più forte, lo sci di massa, è in crisi anche lui, io lo dico sempre ed è così, se noi non pagassimo le tasse e non mantenessimo con i nostri soldi le stazioni sciistiche, lo sci sarebbe finito già, perché, a parte credo il Monte Rosa, le Dolomiti e qualche altro piccolo caso felice rarissimo, tutti gli impianti di sci oggi sono pagati dalla collettività, i costi energetici sono così alti che se noi vogliamo mantenere in piedi questa industria dobbiamo tenerla in vita artificialmente. Allora la domanda è: «si potrà andare avanti così per sempre?», non credo. Tutto questo senza considerare l’impatto ecologico, ambientale fortissimo che hanno avuto tutti due i fenomeni, perché l’esodo in giù ha lasciato una montagna spopolata e vuota e quindi desertificata che vuol dire che la foresta avanza, vuol dire che i villaggi dove non sono stati ripresi sono stati aggrediti dai cespugli, dalle spine, guardate certe valli del cuneese ma i casi non mancano purtroppo, villaggi deserti, vuoti e cadenti. L’altro fenomeno contrastante, cioè il portare la città in montagna per creare Sestriere, per creare dei posti dove la gente, si pensava, trovasse casa sua, sono di nuovo fenomeni cadenti, perché si distrugge quello che c’era prima e si lasciano fondamentalmente dei pezzi di città disabitati per buona parte dell’anno, e quindi delle situazioni difficili da sostenere sia dal punto di vista ambientale che economico.
Ecco, questa è la situazione attuale. Quindi secondo me, uso un po’ il mio intervento come introduzione, tutte le riflessioni che oggi facciamo sulle Alpi devono partire da questi passaggi, e il fatto che oggi si dica, giustamente credo, «le Alpi devono tornare ad essere cuore d’Europa», non vuole dire che dobbiamo tornare al Medio Evo, perché nessuno torna indietro, ma vuol dire che le Alpi devono tornare ad essere in qualche modo un centro e non una periferia, anche perché sulle Alpi si stanno sperimentando dei laboratori di sviluppo e di turismo sostenibile che sono assolutamente all’avanguardia; ci sono casi come Prato allo Stelvio che è già un comune completamente autosufficiente dal punto di vista energetico, pensate voi quanto sarebbe bello per altri comuni poterlo essere nel senso di non dover più pagare l’energia ad altri. Perché la montagna ha l’acqua, la montagna ha il sole, molto più della pianura, e la montagna ha la possibilità di sviluppare delle tecnologie straordinarie da questo punto di vista se appunto riesce a ragionare in un’ottica di sistema… la montagna ha il legno, per esempio, nelle Dolomiti, nel Trentino Alto Adige l’industria del legno, ben gestita, ha portato dei benefici enormi alla collettività.
La città non è più quella che era alla fine del Novecento, la città mostra tutte le sue crepe, il modello urbano mostra tutte le sue crepe. E quindi oggi è difficile anche per il più ottuso pensatore sostenere che il modello consumistico-urbano sia il modello vincente, se è vincente quello io non so quali sono i modelli perdenti, nel senso che è davvero difficile credere che si possa andare avanti così per sempre. E allora come vedete il ragionamento si rovescia, i rapporti di forza non si sono ancora rovesciati, ma certamente le potenzialità delle Alpi, delle montagne rispetto alla pianura sono completamente cambiate e in questo senso secondo me bisognerebbe ragionare e lavorare insieme…
Io concordo pienamente con Luca Giunti, credo che i due parametri che lui ha semplificato siano fondamentali: il pendio, la pendenza, e la stagionalità, e sono due cose correlate tra l’altro, cioè dove c’è pendenza c’è altitudine, il terzo parametro potrebbe essere l’altitudine, che però non dovrebbe essere usato come un matematico, cartesiano, perché ci può essere montagna a 400 metri e può non essere montagna a 2000 metri, se ci andiamo appunto con l’elicottero… Però allora i tre elementi, aggiungiamo l’altitudine: pendenza, altitudine e stagionalità, sono completamente correlati, significa che io faccio fatica, verissimo, e se non faccio fatica la devo addomesticare questa pendenza, con dei mezzi spesso “illeciti” dal punto di vista ambientale, vuol dire che io abito in alto e quindi, da un lato, da un punto di vista simbolico, guardo in basso, ma questo è secondario, ma comunque ho una stagionalità breve perché sono come se fossi in Svezia, cioè noi abbiamo in duemila metri di dislivello le stesse differenze climatiche che abbiamo in duemila chilometri andando verso nord. Allora questo per dire, traducendolo in termini più politici, che gli elementi sono: il limite, secondo me, ed è una cosa che non va giù a una certa cultura, perché quando citiamo certi personaggi della politica secondo me la questione è proprio che non vogliono neanche sentir parlare di questa cosa, non vogliono sentir parlare di limite e si illudono di poter eliminare il limite, invece bisognerebbe proprio incominciare ad accettare i limiti e cercare di creare una società che possa conviverci virtuosamente, perché il limite non vuol dire una sconfitta, vuol dire semplicemente un cambio di marcia, un cambio di passo. Penso dunque che sia il limite l’elemento, e il limite declinato in tanti sensi, perché può essere un limite legato appunto alla fatica ma può essere un limite stagionale, ad esempio, può essere un limite legato all’approccio alle strade, ai trasporti, è chiaro se c’è un metro di neve faccio più fatica ad arrivare a duemila metri che ad arrivare al centro di Torino, e quindi son tutti limiti no? Però, il limite cosa declina anche? Declina altre possibilità di vita che non sono sempre la solita, sempre unica, e questo secondo me dobbiamo accettarlo perché il fatto che noi ci illudiamo che il mondo sia tutto uguale è una cosa stupida dal punto di vista economico e politico ma è stupida anche dal punto di vista della vita perché noi abbiamo bisogno delle differenze, abbiamo bisogno delle sfumature, vivere in città e nel contempo avere la montagna, così come la montagna ha bisogno della città, è ridicolo pensare che tutto il mondo possa diventare una sola cosa…
Volevo solo concludere con una proposta molto concreta, ne approfitto, scusate. Io sto organizzando, insieme agli amici di “Dislivelli”, che è una associazione che si occupa di montagna, una proposta di turismo sostenibile che si chiama “Sweet mountains”, che parte proprio dal territorio, adesso non voglio farvi perdere tempo, per chi è interessato vi lascio delle cartoline per approfondire la cosa, perché secondo me è giunto il momento di mettere in rete tutto ciò che non è quel turismo che non è veicolato generalmente da tutti, dalle amministrazioni dai giornali che è un turismo insostenibile, secondo me, secondo noi, e quindi stiamo cercando di mettere in rete tutti quelli che fanno un’offerta di turismo diverso…